Tuttologia 2016

Di aggiornamenti, storytelling in tutte le sue forme, politica, futuro del mondo e bilanci 2016 su libri, fumetti, cinema e serie tv.

Buongiorno a tutti.
Di nuovo ritorno (e di nuovo in ritardo), dopo un periodo ricco di eventi.
Troppe sono le cose stimolanti accadute, viste, lette, per accontentarmi di scribacchiare un articolo specifico su una singola cosa. Scherziamo? (Io solo a volte, e nemmeno tanto bene).
Da lungo tempo il calderone di pensieri che ho accumulato in testa (pensieri che hanno la brutta abitudine di non chiarirsi completamente neanche a me stesso finché non mi decido a scriverli per qualcun altro) attende di essere battuto su un metaforico foglio bianco (tocca a quello dell’iPad, che il fedele portatile mi s’é imprevedibilmente autodistrutto).
Tra un riflesso e l’altro, tra treno, divano, letto e divano di qualcun altro, apro questa magica nuova rubrica – anzi, Categoria, che fa più filosofo – a carattere tuttologico, in cui parlerò, a chi di voi avrà la pazienza di leggermi, di tutto ciò che in questo periodo ha attirato la mia attenzione e stimolato la mia riflessione (inclusi rari entusiasmi e feroci incazzature), dicendovi talvolta come vivere la vostra vita e come fare il vostro lavoro (no, dai, con queste due giuro che scherzo). Comunque sempre basandomi su quello che è da sempre il nucleo di fondo di questo spazio, ovvero l’analisi della narrazione (storytelling) in ogni suo contesto.

Ovviamente a molti di voi non fregherà un arcicazzo della maggior parte delle cose che sta per leggere, o non avrà comunque abbastanza tempo da vivere per dedicarsi serenamente alle seicento pagine che seguono. Quindi per facilitare la discriminazione delle cose fighe dalle cose sticazzi spaccherò questo “pezzone” in tanti capitoletti numerati (o forse no, decido poi all’ultimo come mi gira). I titoli saranno scritti in un bel corpo ciccione, così da facilitarvi nel trovare quelli di vostro interesse. Siete perciò autorizzati a saltare.

Sarà un articolo lunghissimo, che andrà anche a sostituire, in un’ottica più personale, gli ormai tradizionali “premi di fine anno” dei blogger, facendo negli ultimi paragrafi un breve recap di serieTV, film e magari libri e fumetti di cui avrei voluto, ma non vi ho ancora parlato.

Ringrazio fin da subito Eliana, la mia personalissima esperta in comunicazione che ha supervisionato la prima stesura del 3^ paragrafo: passata anche lei per i corsi del GEMS, ad oggi è probabilmente l’unica laureata con lode in comunicazione e aspirante scrittrice senza uno straccio di sito, o blog. Altrimenti ve lo avrei linkato con piacere.

Kawabanga!
Iniziamo.

1 – L’Anticorpo, cioè il me medesimo, massimo influencer sulla terra e futuro re dei pirati, è su Facebook.

facebookBoh. Ora che l’ho scritto come titolo non c’è molto altro da aggiungere.
Non è che sia diventato megalomane di colpo, sarete tipo 3 sfigati a mettere il like alla pagina, ne sono cosciente. Diciamo che, dal momento che scrivere costa tempo e fatica, e che una pagina Facebook è pur sempre gratuita, è un modo come un altro per promuovere un po’ ciò che faccio su L’Anticorpo, per Lo Spazio Bianco o altrove.
Mi trovate qui: https://www.facebook.com/conunapennadallamiaparte/?fref=nf
Mettete il like, subito, se no siete delle brutte persone. Davvero. Fatelo ora. Che poi vi dimenticate.

Fatto? Bravi.

2 – L’Anticorpo è RECENSORE TOP di Amazon.

Al momento in cui scrivo rientro nella Top 500, essendo intorno alla posizione 280 su scala nazionale. Probabilmente ora della pubblicazione sarò più su. Forse già in Top 100.

Perché l’ho fatto?
1 – Fondamentalmente per spirito di perculaggine: ho scoperto l’esistenza della classifica, ho letto qualche informazione sul funzionamento dell’algoritmo che stabilisce le posizioni, ho fatto un paio di calcoli, e mi sono convinto che usando qualche trucchetto di “comunicazione web” e “consumismo per analfabeti”, in capo a un mese, senza particolare impegno, avrei scalato la classifica. Così è stato.
2 – Perché, ovviamente, non di soli fumetti, libri e film è fatta la mia vita. Scrivere di ciò che acquisto su Amazon, oltre a essere un buon allenamento per scrivere velocemente e in modo chiaro, mi offre la possibilità collaterale di parlare di altre cose che mi interessano e che trovano pochi interlocutori nella vita quotidiana.
Inoltre, soprattutto, non bisogna dimenticare ciò che più di tutti è il filo conduttore del mio lavoro su questo blog, ovvero l’indagine del cosiddetto storytelling. Mi affascina, ad esempio, il modo in cui molti recensori spendono centinaia di parole su un affetta zucchine, senza di fatto dire se affetti o meno le zucchine. Una souspance che nemmeno Stephen King. Roba da professionisti.
amazonScherzi a parte, il nostro secolo produce sempre più bizzarre e potentissime tecniche di comunicazione e storytelling. Pubblicità, imprese, scuola e soprattutto la politica (poi ci arriviamo) fanno uso di queste subdole e affascinanti strategie. Comunicare è un’arte, e per vivere in questo periodo storico, indipendentemente dalla professione che si svolge, resto profondamente convinto che sia necessario imparare a conoscere la comunicazione. E non si può conoscere e imparare senza immergere le mani nella melma, anche in un contesto apparentemente banale quale può essere Amazon (che comunque resta un gigantesco colosso multinazionale che sta rivoluzionando radicalmente il settore commerciale tradizionale).

Tornando a noi, quello che forse non tutti sanno, invece, è che raggiunta una certa posizione nella classifica Amazon si inizia a venire contattati da vari venditori, specie cinesi, piuttosto che Amazon stessa (con il programma VINE), i quali chiedono di inviare prodotti in anteprima, o comunque di nuova uscita, in “test”, in cambio di una recensione (“onesta a imparziale” cit.). Il che fa gola a molti, incoscienti del fatto che, in termini di comunicazione, il valore di una recensione positiva davvero ben fatta vale di gran lunga più di qualsiasi articolo omaggio possano inviarvi.
Al momento in cui scrivo non ho ancora accettato commissioni, poiché quelle che ho ricevuto erano per prodotti fuori dal mio radar di interesse. Appena mi capiterà una buona occasione sperimenterò come funziona il giochino all’atto pratico, sempre ovviamente mantenendo intatta la mia etica e il mio personale punto di vista sui contenuti della recensione.
Finché non mi stancherò, e allora addio.

Se qualcuno volesse capirne di più, lascio qualche articolo in proposito da spulciare:

Come diventare top recensore su Amazon: guida passo dopo passo


http://www.vincenzov.net/funny/top-recensori.htm

3- Politica: Trump, Referendum, Castro e società di bufale (tranquilli, non sarà un trattato di politica internazionale).

Dicevamo prima dello storytelling in politica. Benissimo. Abbiamo, freschi  freschi, dei meravigliosi esempi di come la nostra attenzione possa essere pilotata verso un particolare fine o soluzione da narrazioni condotte in modo da offrire, a chi ne fruisce, una verità preconfezionata e inattaccabile, una pillola di verità. Specifico che queste narrazioni sono condotte da ambo le parti che prenderemo in considerazione, non solo da chi, alla fine, risulta vincitore: il vincitore è solo colui la cui strategia, alla fine, ha pagato di più.
Definiamo anzitutto, senza ipocrisie o buonismo, il concetto sociale di “massa” poiché, ovviamente, “pilotare le masse” è requisito indispensabile per chiunque voglia conseguire successi in ambito sociale (politico, pubblicitario, web, ecc.). Ora, chiunque abbia studiato in maniera un po’ seria comunicazione, vi dirà certamente che “le masse non esistono”, e così è in effetti. La definizione stessa di “massa” è in realtà fuorviante, poiché in comunicazione rimanda a un concetto pressoché freudiano e ormai superato da decenni. Ma come altro potrei chiamarla?
Mi spiego. La massa di cui parlo è un obiettivo: non esiste, va creata con la narrazione. Una massa sì composta da vari target, anche molto distanti tra loro (presi per età o località o qualsivoglia discriminante), quindi di per sé assolutamente disomogenea, ma la cosa fondamentale per un Trump a caso, ad esempio, è quella di “creare” una massa, cioè un insieme di persone votanti e rispondenti a determinate leve comunicative. Un gruppo di persone che sarà portato a muoversi in modo simile a una tifoseria, con la stessa solida convinzione ignorante (non nel senso di “non istruita” ma di “non ragionata”). Il che consentirà a lui di vincere le elezioni. Per farlo, si fa leva su diversi fattori di interesse sociale, magari creando un nemico da combattere. Ha inizio quindi una narrazione atta a selezionare i potenziali elettori, accomunando vari target. Questa massa sarà tendenzialmente numerosa (altrimenti il tentativo potrebbe dirsi fallito) e, come detto, agirà sostanzialmente come una tifoseria, fruendo di informazione a senso unico (cioè ricevendo informazione dal medesimo canale principale, o comunque da una serie di canali in accordo tra loro), il che contribuirà a inibire un vero dialogo (interiore) e un vero spirito critico e autocritico nel singolo.
essi-vivono-editoriale-810x400In questo senso identifico una “massa”, cioè un insieme di persone, anche molto diverse tra loro, i cui target vengono intercettati da una stessa narrazione.
Questa “massa”, o “tifoseria”, ha quindi scarsa propensione verso la ricerca delle notizie alla fonte (non leggono il tale studio scientifico, il tale testo della riforma, bensì la notizia e l’interpretazione del loro canale preferenziale) e l’uso mirato del web (il più delle volte ci si limita ad aprire un social e percepire le “notizie” dalla propria cerchia, che probabilmente la penserà per lo più in modo simile a noi: la famosa “camera dell’eco” dell’informazione). Questo specialmente tra le fasce di età più avanzate che spesso hanno poca consapevolezza del web e delle sue dinamiche, in particolare per quel che riguarda l’attendibilità e la portata mediatica (ne è prova lampante il costante divagare di bufale e pagine di click baiting che puntano tutto su questi fattori).
Appare quindi ovvio che la pillola di verità, la notizia preconfezionate e già interpretata che va solo presa per buona, è la soluzione vincente. La pillola permette alla tifoseria di non fare fatica, di bere all’unica vera fonte di saggezza, illuminarsi, trovare un capro espiatorio cui dare la colpa, basandosi su informazioni semplicistiche e premesse fuorvianti o totalmente inesatte, per poi, naturalmente, urlare a tutti gli altri di aprire gli occhi e svegliarsi.
A proposito del “capro espiatorio”, è fondamentale creare un nemico per muovere una tifoseria e questa risulta essere dall’alba dei tempi una delle strategie più usate al mondo: i cristiani, i pagani, gli eretici, gli ebrei, i comunisti, la squadra avversaria, gli immigrati, la casta, l’UE, i “poteri forti”.

Trump
trumpCandidato scomodo (miliardario, imprenditore – speculatore, amico delle lobby, di poca cultura internazionale). La sua campagna è stata una costante caccia al voto dell’America nostalgica e megalomane, la prima nazione al mondo, bianca e anglofona. Si è fatto leva sull’orgoglio nazionalistico della gente, sul sogno americano, John Wayne, Chuck Norris e tutta la mitologia annessa.
La Clinton, di contro (candidato per molti versi altrettanto scomodo, esponente di una delle famiglie più ricche d’America e moglie di un ex presidente) ha incentrato la sua campagna sulla stessa linea: poche proposte, tanti attacchi personali e soprattutto il “se vincerà Trump sarà la fine del mondo”, dando tuttavia alla medesima retorica “di pancia” una sfumatura più progressista (la prima donna presidente) e meno pragmatica (un muro con il Messico è concreto, una “no fly zone” sulla Siria o la tutela delle minoranze, raccontati a un demolitore del Kentuky, molto meno).
Al netto, le due narrazioni sono state:
1- Votami, se vuoi che gli USA tornino quelli ricchi e potenti del dopoguerra (Nemici: i “poteri forti”, immigrati e minoranze, gli organi internazionali).
2- Votami, perché se vince lui cancellerà quarant’anni di battaglie sociali e l’America sarà in pericolo (Nemici: Trump, i protagonisti del conflitto siriano).

Referendum
referendum-2-giugno_scheda_elettoraleIn pochi si sono interrogati sul merito, su cosa fosse il CNEL, sul ruolo effettivo del senato e su ciò che avrebbero comportato le modifiche a esso. La faccenda si è invece concentrata, da ambo le parti, sul pro o contro riguardo il governo. Ancora oggi, a giochi fatti, si sente dire “tot blabla di milioni di italiani hanno delegittimato il governo”. No, questa, in logica, è quella che si definisce una conclusione errata data da premesse errate: gli italiani hanno bocciato una riforma del governo, il quale si è sciolto per decisione dell’allora premier, che comunque non era obbligato alle dimissioni e poteva legittimamente rimanere in carica.
È chiaro che, a fatti, c’è una differenza sostanziale tra lo scenario reale e quello che invece viene percepito, tuttavia lo storytelling, la narrazione dei fatti da parte – attenzione! – non degli organi di informazione, ma della politica stessa, confonde e intorbidisce la acque, al punto da rendere invitante la semplificazione. Boom. Il governo è stato delegittimato. Archiviazione delle indagini.
Allo stesso modo anche la parte sconfitta, durante la campagna popolare si è limitata a puntare tutto sul generico concetto di “cambiamento”, che di per sé ha una connotazione neutra, né buona, né cattiva, come fosse invece l’unica soluzione davvero positiva: anche questo è un ottimo esempio di narrazione politica e creazione di un nemico, anche se astratto -> immobilismo vs cambiamento. Oggi sappiamo che il nemico in carne e ossa (l’ex premier) ha tirato più, in termini di consenso, di un nemico concettuale.
Stesso discorso per il fantomatico “quarto governo non eletto“: basterebbe aprire un qualsiasi libro di diritto di prima superiore, e leggerlo, per scoprire che secondo la Costituzione Italiana il governo non è eletto dal popolo. Mai. Insinuarlo significa promuovere una semplificazione funzionale a un certo tipo di narrazione.

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Castro
schermata-2016-11-26-a-15-17-02Scompare un’icona del novecento e il mondo si spacca in due.
Quelli che: Cuba, il grande sogno, la rivoluzione contro i dittatori, i medici migliori del Sud America, quelli che sono scappati da Castro e ora esultano erano favorevoli al vecchio regime e al colonialismo americano (nemico: il capitalismo USA).
E quelli che invece: Cuba è poverissima, vive di turismo (anche sessuale) dall’Europa, Castro era un dittatore e repressore politico (nemico: il comunismo e la dittatura).
Anche qui, come nei due casi precedenti, abbiamo due narrazioni diametralmente opposte, che si preoccupano però molto poco di approfondire una questione estremamente controversa e complicata, mettendo invece al primo posto il giudizio idealistico (una forma più arcaica della nostra “pillola di verità”) sporcando così le conclusioni e lasciando poco spazio al fruitore per farsi un’idea, ma sufficiente solo per prendere posizione.

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Vi lascio inoltre questa bellissima puntata del programma “Posso dormire da voi?”, girata proprio a Cuba (Se non siete poliglotti, potete abilitare i sottotitoli in italiano): https://m.youtube.com/watch?v=oe9wmjZtHMA

Il risultato al quale questi tre recenti “episodi” ci conducono è che tutte queste narrazioni, per quanto contrapposte tra loro, offrono di fatto la suddetta “pillola di verità”. Cioè un punto di vista preconfezionato e consolidato, facile da sposare, che non lascia alcuno spazio al dubbio o alla riflessione, invitando invece a una presa di posizione incentrata sulla “fedeltà”, sul tifo, come se si trattasse di scegliere tra due squadre di calcio.
È chiaro che tanto maggiore sarà la pigrizia e la povertà culturale del pubblico (dei target coinvolti) al quale queste narrazioni si rivolgono, tanto più queste narrazioni e questo atteggiamento “passivo” faranno presa su di loro e risulteranno efficaci.
Un po’ come quelle pubblicità dei chewing-gum in cui si insinua che masticare una gomma ripiena di prodotti chimici e dolcificante artificiale faccia in realtà molto bene ai denti, tanto da poter essere usata al posto dello spazzolino: se non ti poni il problema del se sia vera o meno, ci caschi, e tra un tirato pranzo di lavoro e la successiva riunione la mastichi.

Viene quindi spontaneo un invito alla riflessione, all’impegno, e all’uso della testa. Controllare sempre le fonti, non accontentarsi di interpretazioni semplicistiche, per non cadere nelle bufale (ideate sempre da vere e proprie società che su questa roba ci lucrano), tra l’altro sempre funzionali a certe narrazioni; cercare di andare al nucleo delle questioni per scinderle dai preconcetti e dai giudizi preconfezionati, distinguere tra “informazione” e “contenuto promozionale”, usare la logica (anche elementare, il sillogismo) e chiedersi sempre se le premesse siano vere e la conclusione coerente a esse.

Purtroppo nel mondo politico di oggi c’è anche chi fa un uso spregiudicato ed esplicito di questa retorica, e mi piace concludere questo paragrafo, scritto (fin qui) il più possibile con imparzialità, con un mio personale commento affidato al web qualche settimana fa, dopo avere assistito, al telegiornale, a una disgustosa e raccapricciante dimostrazione di questo tipo di retorica esplicita da parte del primo blogger d’Italia, quello che prima era comico e ora leader di un movimento politico gestito – indovinate un po’? – da una società di comunicazione recentemente accusata, tra l’altro, di essere uno dei principali “rimbalzatori di bufale” in Europa.stato-fb

Qui di seguito vi lascio invece alcuni link che vi invito caldamente ad aprire.
Il primo è Butac (“Bufale un tanto al chilo”): realtà che si occupa di smontare quotidianamente le maggiori bufale giornalistiche in circolazione, spesso fornendo nomi e cognomi delle fonti, e soprattutto facendo chiarezza sugli eventi. Seguo il loro lavoro e hanno tutto il mio plauso.
http://www.butac.it

Questa è un’inchiesta giornalistica attualissima. Paolo Attivissimo e David Puente stanno rivelando una vera e propria rete di portali di notizie false facente capo a una società di comunicazione residente in Polonia. La faccenda puzza da morire e avrà probabilmente eco anche al di fuori del web.

La piovra delle panzane: chi c’è dietro il sito LiberoGiornale


http://attivissimo.blogspot.it/2016/12/il-cinico-business-delle-bufale-prima.html
http://attivissimo.blogspot.it/2016/12/il-cinico-business-delle-bufale-seconda.html

Questi invece sono articoli che indicano il Movimento 5 Stelle come massimo promotore europeo in fatto di bufale. Autore dell’inchiesta è Buzzfeed. Ovviamente gli interessati smentiscono.
Buzzfeed ita: https://www.buzzfeed.com/albertonardelli/movimento-cinque-stelle-primo-in-europa-a-diffondere-notizie?utm_term=.vjmG2Z0xa#.fjqrQRv8D
Buzzfeed eng: https://www.buzzfeed.com/albertonardelli/italys-most-popular-political-party-is-leading-europe-in-fak?utm_term=.gjyyd6BOP#.lyqbw87Ev
Il Post: http://www.ilpost.it/2016/11/30/inchiesta-buzzfeed-bufale-online-m5s-russia/
Corriere: http://www.corriere.it/politica/16_novembre_30/strano-caso-svolta-m5s-russia-vladimir-putin-ac67ee96-b6d6-11e6-aef2-f5f620941d44.shtml

Da notare però (aggiornamento del 30 dicembre) l’attacco di Grillo all’Antitrust riguardo la volontà di regolamentare il web per arginare il dilagare di bufale.
Rainews: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Grillo-contro-Antitrust-nuova-inquisizione-web-ma-non-ci-fermano-a82b8e50-8c95-4150-b8b3-cfc1628e8fbe.html
SkyTG24: http://tg24.sky.it/tg24/politica/2016/12/30/beppe-grillo-attacca-pitruzzella-antitrust-su-financial-times.html

4 – Il consumismo e la narrazione dell’immutabilità della società moderna occidentale

Un’altra narrazione cui l’uomo bianco-occidentale appare indissolubilmente legato dal boom del dopoguerra in poi è quella dell’immutabilità, o invincibilità, se preferite: noi, nonostante la crisi, siamo cresciuti profondamente convinti che le cose sarebbero sempre andate bene, o comunque mai veramente male, che avremmo sempre mantenuto un certo tenore di vita, che la strada non sarebbe stata mai eccessivamente in salita.
Questa è stata la narrazione preponderante di tutta la seconda metà del Novecento, e le persone l’hanno assimilata (insieme alla mentalità capitalistica-consumistica made in USA) al punto da perdere nel corso degli anni tutta una serie di abitudini e (soprattutto) competenze “conservative”, o di buon senso, che ci sarebbero invece indispensabili nel caso in cui gli anni a venire dovessero essere (e probabilmente lo saranno) più duri di ora.

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La foce del fiume Colorado, in secca da circa 15 anni.

Questo è lo stato attuale delle cose, scritto in modo volutamente non approfondito, così come chiunque lo avrà sentito almeno una volta. Sono dati e notizie risapute e di dominio pubblico:

  • Le stime peggiori dicono che entro il 2100 la popolazione terrestre raggiungerà approssimativamente i 13 miliardi di unità (i quali avranno bisogno di cibo, acqua, un posto per vivere, energia, mezzi con cui spostarsi…). Anche le stime più ottimiste non prospettano scenari molto migliori.
  • Earth Overshoot Day: ovvero il giorno in cui l’uomo esaurisce le risorse che la Terra in un anno riesce a rinnovare. Nel 2016 è stato l’8 di agosto. Abbiamo sforato di quattro mesi.
  • Le risorse più comunemente usate (petrolio e derivati) sono in via di esaurimento. Nonostante le nuove tecnologie di estrazione (che comunque riducono di molto il rapporto guadagno/costi) i prezzi si alzeranno, e comunque, lo sappiamo e non possiamo farci niente, restano sempre fonti non rinnovabili.
  • L’inquinamento planetario è ormai tale per cui la salute delle persone inizia a risentirne pesantemente, con aumento di malattie legate soprattutto alla respirazione (dalle banali allergie a vere e proprie patologie) e anche tumori, come dimostrano molte inchieste/processi tuttora in atto (per non parlare dello sfruttamento sfrenato dell’amianto nei decenni passati e le tragiche conseguenze che ha avuto). Diretta conseguenza è anche il cambiamento climatico, le cui conseguenze sono chiare ed evidenti già ora.
  • Concorderete poi sul fatto che l’attuale situazione geopolitica sia forse tra le più complesse e intricate che l’umanità abbia mai conosciuto. Il che non significa che sia necessariamente fragile, così come sarebbe sciocco crederla indistruttibile, tuttavia abbiamo appurato più volte (soprattutto dal 2001 in poi) quanto gli equilibri di forza siano in fin dei conti estremamente precari: la struttura del sistema e le sue dinamiche non cambiano mai (se non in minima parte), ma gli attori che in questo contesto si muovono mutano in continuazione.
  • E per finire, evidente a tutti, anche la situazione interna italiana, tra disoccupazione giovanile, sprechi, economia e soprattutto welfare e stato sociale, non è certo delle migliori.

cambiamenti-climatici-allarme-wwf-alla-vigilia-del-vertice-di-parigiIl punto è che nonostante tutti questi fattori, volutamente espressi in modo poco approfondito (fonti a fine capitolo), così come chiunque, anche per sbaglio, li avrà sentiti citati innumerevoli volte nel corso della propria vita, sono ben pochi coloro che hanno cercato di anticipare i tempi e prepararsi per il futuro. Il Novecento ha visto la nascita di una società completamente dipendente da se stessa, per cui noi cittadini, oggi, siamo assolutamente e totalmente dipendenti dal prossimo in ogni più piccolo aspetto della nostra vita. Siamo dipendenti per quanto riguarda il cibo, l’acqua, l’energia, le comunicazioni. Ci affidiamo totalmente a strumenti tecnologici il cui funzionamento (o rimpiazzabilità) diamo per scontato.
Come ci organizzeremmo se, per assurdo, l’acqua venisse a mancare ai nostri rubinetti per qualche settimana? Se per un medio periodo i trasportatori non rifornissero più le pompe di benzina, o i supermercati? Se il gas smettesse di arrivare alle nostre abitazioni per un mese?
La risposta è: in ritardo.
La verità è che siamo totalmente impreparati a essere indipendenti. Nel corso di un paio di generazioni abbiamo completamente sovvertito uno stile di vita pratico e pragmatico (con tutti i suoi pro ma anche i contro, sia ben chiaro!), con l’attuale filosofia dell’iper-distacco. Basti pensare, tornando ad Amazon, al commercio online: la produzione in serie è talmente entrata nel nostro DNA al punto di non sentire nemmeno più il bisogno di toccare e valutare con mano un oggetto prima di acquistarlo: abbiamo praticamente soppresso un’azione sensoriale primitiva come il guardare, toccare, in virtù di un tap sul display dello smartphone. Addirittura alcuni supermercati offrono servizi analoghi di acquisto online e consegna a casa: non pretendiamo più di osservare nemmeno il cibo che intendiamo ingerire.

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Un supermercato di Tokyo nei giorni successivi al disastro di Fukushima.

Ma se i possibili futuri fattori di declino della società così come la conosciamo (con conseguente e probabile peggioramento delle nostre condizioni) sono così chiari e ridondanti, e nello stesso tempo è lampante che siamo totalmente impreparati ad affrontare situazioni di questo tipo, perché nessuno pensa a organizzarsi in anticipo? A ritagliarsi, nel suo piccolo, quel quorum di indipendenza a livello di competenze, mezzi e inventiva che potrebbe in rendergli le cose meno complicate?

La risposta è che la (nostra) società occidentale, da cui dipendiamo e che da noi dipende, ci ha riprogrammato per l’happy ending. Don’t worry, be happy. Andrà tutto bene.
Contro ogni logica previsione. Contro ogni ipotesi di buon senso. Contro tutti i dati.
Eccola, la potenza della comunicazione.

Alcune fonti:

Aumento popolazione: http://www.lescienze.it/news/2016/12/05/news/crescita_popolazione_globale_obiettivi_sviluppo_sostenibile-3339041/

Malattie da inquinamento: http://www.corriere.it/salute/16_marzo_16/oms-126-milioni-morti-l-anno-l-inquinamento-ambientale-9317fcc8-eb4e-11e5-bd81-e841f592bd45.shtml

Earth Overshoot day: http://www.ansa.it/canale_ambiente/notizie/natura/2016/08/08/earth-overshoot-day-abbiamo-finito-risorse-2016-della-terra_b8330074-5318-4bfe-95b7-e1e328850701.html

Una nota
Per chi fosse interessato, esiste una sorta di movimento, o filosofia di vita, chiamata “prepping“, che si occupa proprio della divulgazione e dell’insegnamento di competenze utili per fronteggiare situazioni di emergenza, che prevedano momentanei o prolungati stravolgimenti delle regole e delle dinamiche sociali cui siamo abituati.
Su questo punto non lascio però fonti, in quanto argomento controverso e meritevole di essere trattato a parte, poiché questa disciplina viene generalmente massacrata da luoghi comuni fuorvianti, e talvolta effettivamente esaltata a livelli di fanatismo ridicoli (da cui i suddetti luoghi comuni).
Ve ne parlerò quindi prossimamente, in relazione ad alcune letture che sto affrontando, e vi indicherò poi in quella sede delle fonti appropriate.

5 – La sezione cazzi miei
ovvero vita, malattie (morte è prestino) e miracoli di Nathan e i suoi Anticorpi, più ciò che ho letto, visto, sentito. Bilancio 2016 e lettura dell’oroscopo con le carte nella sfera di cristallo touch per il 2017 (che già il 17 è un numero gramo e bisogna stare pronti).

Netflixzati
Che dire? Netflix è senza ombra di dubbio una delle grandi soddisfazioni sullo schermo di quest’anno.
Della prima stagione di Daredevil vi ho già parlato nell’apposita rubrica. La seconda, nonostante la pesante assenza del personaggio di D’Onofrio (immenso, non lo dirò mai abbastanza), scorre abbastanza bene, sebbene emergano a tratti alcuni disequilibri tra i personaggi: Matt si trasforma in un antieroe un po’ stronzo e Foggy viene un po’ sacrificato, narrativamente parlando. Fantastica tuttavia Page, dignitosa Elektra e fottutamente badass il Punitore: cattivissimo, spietato ma ligio alla sua discutibilissima etica, sanguina come un maiale al macello nella maggior parte delle scene, ma lo fa bene.
stranger-thingsOvviamente non mi sono perso Stranger Things, e mi è piaciuto assai. Ragazzini, Dungeons & Dragons, walkie-talkie, altre dimensioni. Eleven è adorabile. Winona Rider invece proprio la amo. Speravo di parlarvene con un articolo dedicato, ma non so se ci riuscirò, magari con la seconda stagione.
Deludente invece Luke Cage, specie come struttura narrativa. Inconsistente, scritto male, incoerente. Però dai, è un uomo nero gigante a prova di proiettile che fa a mazzate con le gang di Harlem. Con che coraggio mi lamento?
Piacevole sorpresa invece Marco Polo, di cui ho visto entrambe le stagioni. Colpisce innanzitutto l’ambientazione, con bei paesaggi naturali e ricostruzioni storiche meravigliose (edifici, costumi, tende, accampamenti, città). Ottimi gli attori, compresi quelli nei ruoli secondari. Qualche pecca di scrittura, roba vecchio stile proprio, tipo personaggi morti/non morti che riappaiono e gente impazzita di colpo, fin troppo shakespeariano, ma comunque nulla di eccessivamente fastidioso. E poi beh, le arti marziali: se volete vedere uno dei kung fu scenici, in stile realistico, più belli mai realizzati, guardatelo.
Better Call Saul buono, ma come Breaking Bad si ha la sensazione di una serie che andrebbe guardata tutta d’un fiato. Quindi non ne parlerò in modo approfondito fino a che non sarà conclusa.
Ho inoltre iniziato (non finito) Black Mirror e Sense 8. Bomba la prima, praticamente la versione attuale di The Twilight Zone, inscenata bene e scritta benissimo. Magari ne scriverò in modo più approfondito.
Sense 8 (dei Wachowski) per il momento è invece un nì. Riadattamento italiano a tratti un po’ scadente (specie nel filone indiano), e narrazione, sempre per il momento, piuttosto confusa o decisamente naif. Geniali invece alcuni spunti. Credo ne scriverò.
Per il futuro, a parte le nuove uscite Marvel e il nuovo Sherlock, conto di recuperare Narcos, Orange is the new black, The OA, Glitch, Una Serie di Sfortunati Eventi, e magari qualche classicone presente sulla piattaforma e che mi sono sempre perso, come Doctor Who o Battlestar Galactica. E dai, confesso: anche alle Gilmore Girls è probabile che un’occhiatina la darò.
meanwhile-joyce-talks-to-will2_zpsakzv6ou4Anche per il 2017 credo proprio che manterrò l’abbonamento, e poi voglio continuare Modern Family, che non è prodotto da Netflix ed è una sitcom stupidissima, ma dopo il lavoro mi fa comunque un sacco ridere.
Out of Netflix invece, mi toccano Shameless e Westworld (quanto cazzo rosico a non avere accesso alle serie HBO!).

Film
Ecco, di film ne ho visti tanti e di troppi non sono riuscito a trovare il tempo di scriverne: The Revenant e The Hateful Eight in primis. Peccato, perché entrambi danno invece molti spunti su cui riflettere, ne hanno scritto praticamente tutti e mi sarebbe piaciuto dire la mia. Di questi e molti altri ho lo schema con la bozza dell’articolo da mesi e mesi. Magari un giorno ragionerò se farci qualcosa, e cosa.
Vi straconsiglio invece Lui, film indipendente tedesco che tratta in maniera allegorica e satirica del ridiffondersi dell’ideologia nazista e della sottovalutazione del fenomeno da parte dei media e dell’opinione pubblica. Un’autentica lezione di satira.
deadpool-poster-8Il 2016 è poi stato l’anno dei cinecomics, da Civil War (il più atteso, che ho già recensito) a Batman vs Superman (che tutti a dire schifo schifo ma alla fine era passabile), passando per Deadpool (che ho adorato) e X-Men (struttura classica del franchise, piacevole), per concludere con la conclamata idiozia di Suicide Squad, probabilmente uno dei super-film più brutti e inutili mai realizzati, pessimo tanto a livello di soggetto quanto di scrittura. Sorprendente invece Doctor Strange, ma tutto sommato da Cumberbatch non mi aspettavo nulla di meno.
La mia personale sensazione, comunque, è quella di un filone in esaurimento, cui ormai restano pochi colpi buoni da sparare sul grande schermo, e forse il futuro (e passato e presente) saranno le serie TV a più basso budget, ma nulla più, almeno non con una media qualitativa come quella attuale. Spero di essere smentito.
Sul genere, ma in Italia, Lo chiamavano Jeeg Robot ha decisamente spaccato: dimostrazione del fatto che non bisogna per forza stare a Manhattan per fare super-film commerciali decenti. Personalmente mi ha dato più soddisfazione di Deadpool, per dire.
Cambiando genere, Sully di Eastwood è un filmone, ma a chi odia volare, tipo me, sconsiglio spassionatamente la visione. Peggiora solo le cose (presente quando Jovanotti dice che la vertigine non è paura di cadere, ma voglia di volare? È una minchiata che solo chi non soffre di vertigini può pensare. La vertigine è paura di volare, di cadere, di oscillare, di guardare in su e in giù, di morire in modi brutti e, più in generale, una sana voglia di rimanere col culo ben ancorato al suolo).
jeegDa vedere assolutamente anche In guerra per amore, di Pif: film estremamente italiano, siciliano, dal linguaggio semplice ed efficace, capace di far ridere pur senza risparmiare nulla in termini di dolore e sofferenza, con alcune scene quasi struggenti. Pif ha le intuizioni e le capacità, di lui si sentirà parlare ancora a lungo, spero.
Per quanto riguarda l’animazione, tolto Alla ricerca di Dory, che onestamente non mi ha entusiasmato (così come non mi aveva entusiasmato Alla ricerca di Nemo), è stato invece una rivelazione Zootropolis, che invece all’inizio mi ispirava zero. Un film davvero adulto, dal messaggio affatto buonista, anzi, nel suo piccolo molto crudo. Un’allegoria che si insinua negli ambiti più oscuri del reale e ne fa un’analisi per niente scontata, il tutto in un film d’animazione per bambini. Non esistono i completamente buoni e i completamente cattivi, le apparenze ingannano, la morale non ha una sola parte (erbivori, carnivori). Da non sottovalutare il fatto che il film, ridotto all’osso, tratta in fin dei conti di una poliziotta costretta a scendere a patti con farabutti e ambienti mafiosi per risolvere un caso che coinvolge gli alti livelli di potere.
Vale la pena di andarsi a recuperare anche il film dei Peanuts, davvero ben fatto, e Il Piccolo Principe, che sebbene abbia qualche pecca resta un film piacevole e adatto anche e forse soprattutto ai più piccoli.
anim-fantConcludo poi con quello che è stato, tra i film recenti, quello che più mi ha stupito: Animali Fantastici e dove trovarli, che quasi non volevo nemmeno vedere. Eccezionale riproposizione dell’universo Harry Potter, attori grandissimi (Eddie Radmaine, sempre detto, è fenomenale) e per di più, non avendo il contraltare letterario a piegare e dettare alla pellicola tempi non suoi, la storia corre molto più fluida e coerente rispetto ai tradizionali Harry Potter cinematografici. Apprezzabile inoltre la differenza spazio-temporale rispetto alla saga classica, che ci permette di esplorare l’universo magico in un contesto geografico e in un epoca diversa. Per chi come me, come lettore, si riconosce nella “generazione Harry Potter”, ovvero coloro che con i primi lavori di J. K. Rowling hanno praticamente imparato a leggere, questo film è davvero imperdibile.

Libri e fumetti
Li accorpo che sto un po’ in crisi. Con i libri, per la prima volta da anni, starò sì e no sulla dozzina in questo 2016 (di cui tanti sono per l’esame universitario che sto preparando). Ma che vi devo dire, è stato un anno impegnativo e non si può sempre fare ciò che si vorrebbe, purtroppo.
Quelli che mi hanno colpito di più comunque sono Pastorale Americana di Philip Roth, testo immenso di un autore ancor più grande, di cui dovrebbe essere uscito anche il film, che però mi sono perso, e Storie di fantasmi, di Montalbàn, raccolta di raccontini ben scritti e scaccia pensieri, con un protagonista carismatico e ambientazioni solide e vive.
devilSto leggendo a tempo perso Trilogia di New York, di Paul Auster, che per ora è una bomba, ma sommerso come sono da testi pedagogici, chissà quando riuscirò a finirlo.
Per quanto riguarda i fumetti, invece, sono finalmente riuscito a entrare in possesso dei primi cento storici numeri di Dylan Dog (tutto tramite mercatini dell’usato e scantinati vari), ho finito XIII, e iniziato un must giapponese, Alita, nella nuova ristampa. Mi sono inoltre procurato l’essenziale di Pazienza, nella raccolta di cartonati da edicola, e l’Omnibus Daredevil di Miller, che sognavo da anni ma ho dovuto aspettare a lungo perché costa quanto un rene.
Quest’anno ho mancato Lucca, e sto quindi aspettando che qualcuno mi regali la nuova ristampa – raccolta di Miguel Angel Martìn e, ve lo dico così, Bone a colori.
Parlo degli acquisti perché sulle letture ci vorrebbe un post a parte, lungo quanto questo. Proprio perché anno impegnativo, il mio 2016 è stato infatti costellato da letture a fumetti, che inutile raccontarci balle, sono più facili e veloci da leggere rispetto ai libri.
L’unica nota la voglio fare per due opere, che ho seguito abbastanza regolarmente qui sul blog.
occhio_di_falco_volume_2_-_piccoli_colpi_75306Orfani, che dopo una terza stagione iniziata fiacchissima, stiracchiata e ricca di scelte discutibili o addirittura imbarazzanti, e conclusasi con un finale col botto, ma fin troppo esplicito e postmoderno (un altro modo per dire “ipercitazionista al punto da essere fuori luogo”), prosegue con una quarta mini-stagione, scritta da una Paola Barbato al meglio al meglio di sé, dando uno spessore solido e un’autentica profondità emotiva a un personaggio fin qui stereotipato e a tratti un po’ palloso. Interessante.
E poi Occhio di Falco vol 2, Piccoli Colpi, continuazione di Vita Normale che ho recensito tempo fa per LSB. Il lavoro degli autori su questa serie è davvero straordinario, recuperatela perché ne vale davvero la pena: il modo in cui sceneggiatore e disegnatore giocano con il linguaggio fumettistico è davvero, davvero ai massimi livelli del medium. Vi dico solo che c’è un’intero episodio (fondamentale, non un intermezzo comico) raccontato tutto dal punto di vista di PizzaDog, il cane di Clint Burton. Imperdibile. Il tempo lo innalzerà nell’Olimpo dei classici.

Personale
A proposito del rinnovamento grafico della pagina e dei profili social (che è un modo sborone di dire che ho cambiato e uniformato l’immagine profilo di WordPress, Twitter e Facebook), rispondo in anticipo alla domanda che mi farete: sì, quello è esattamente un mio autoritratto, fatto con la mia leggendaria Bic medium nera.
Sta su una vecchia agenda che uso come quaderno tuttofare per i miei discepoli, insomma, i bambini che aiuto con i compiti. Per questo intorno ci sono le espressioni. E sì, quella accanto è la mia firma, orgoglio dai tempi delle superiori. C’è scritto “Nath”. Quello è un teschio di retaggio punk rock anno d’oro 2004 – Avril Lavigne, Green Day, Blink 182 – presente?

Sul piano pop-sociale, nel “maledetto 2016” mi è senza dubbio dispiaciuto per qualche morte eccellente, ma sui più devo ammettere che non ero per niente ferrato.
David Bowie, ovviamente, perché è uno di quelli che anche se non lo ascolti mai sai a memoria dieci canzoni.
Bud Spencer, perché dava pugni in testa ai cattivi ed era il gran maestro del doppio sganassone, unico guru del cinema di menare in grado di eseguire la somma tecnica.
Il Professor Severus Piton, che ho scoperto avere in realtà un comune nome da babbano.
Umberto Eco eco eco. Che era un gran saccentone e che l’odio provato a sedici anni leggendo le trentordici pagine di descrizione di una porta ne Il Nome della Rosa ancora me lo ricordo. Ma è uno di quelli che poi da grande gli vuoi bene.
Gianmaria Testa, perché il suo spettacolo sul Chisciotte con Erri DeLuca mi ha aperto un mondo.
Gallieno Ferri, ideatore grafico di Zagor, che non puoi non volere bene a chi disegna uno degli eroi della tua infanzia.
aliMuhammad Alì, se c’è bisogno di specificarlo…
Leonard Cohen, cantautore e poeta gigantesco. Una mano, una voce, uno stile…
E per finire Carry Fisher, la principessa Leila, da me conosciuta per la prima volta in Blues Brothers e cazzo, un dito medio e un’ironia da panico. Una sopravvissuta di quegli anni d’oro e di droga, uno di quei personaggi in grado di far sognare intere generazioni.
Ci tengo a specificare, invece, che mi riconosco tra coloro i quali pensano che sia giusto e legittimo studiare i testi di Bob Dylan in letteratura americana, ma anche che dare a un cantautore il premio Nobel per la letteratura sia tanto assurdo quanto manchevole di rispetto nei confronti del cantautore stesso e della letteratura. In primo luogo perché si sta premiando Dylan per quella che in fondo è solo una parte del suo lavoro; in secondo luogo perché letteratura e musica (con voce) sono due mezzi espressivi e comunicativi diversi, anche se entrambi usano le parole (allora premiamo così anche i fumettisti, gli sceneggiatori teatrali -lo so che già si fa ma non giustifica- e cinematografici e poi, dai, vogliamo lasciar fuori chi scrive i dizionari?); terzo, perché così facendo si passa il messaggio che una letteratura contemporanea non esista: ma siamo matti? E DeLillo? McCarthy? Roth? Solo per citare i miei amati americani, eh. Chiudo che sennò m’arrabbio.

Sul piano professionale, invece, dovendomi scontrare con l’evidenza dei fatti, il 2016 è stato l’anno in cui ho definitivamente dovuto ammettere a me stesso che il sogno di lavorare nell’editoria, o comunque nell’ambito della comunicazione, è uno di quei “piani B” da tenere lì pronti, in attesa della grande occasione della vita, ma su cui non è possibile far conto per vivere: almeno non in questo momento storico, non in Italia, non a queste condizioni, non per me.
Che sia chiaro: non è una totale rinuncia. Se l’occasione, quella vera e seria, si presenterà, sarò qui a riceverla: con questo spazio (mia vetrina e laboratorio), con la collaborazione con Lo Spazio Bianco (di cui vado davvero orgoglioso), con tutto il mio bagaglio di studi, letture e forza di volontà, lo garantisco, sarò pronto a prenderla al volo, anche mi arrivasse dritta sui genitali a curvatura 18.
Fino ad allora, la mia dignità mi impedisce di gettare soldi, e soprattutto sforzi, nel buco nero dei master costosi e degli stage non pagati perché poi vedrai forse un giorno.
E intanto?
Cerco di mantenermi lavorando come educatore, in supporto a bambini e ragazzi, disabili e non, e al contempo sono iscritto alla facoltà magistrale di Scienze Pedagogiche presso l’Università degli Studi di Bergamo (che a Milano, mortacci loro, non era destino).

12346045_470140779841037_1686374153_nSul piano personale personale invece, ho una famiglia numerosa e in buona salute, cui faccio pubblicamente i migliori auguri, che anche se ci abbaiamo tutto l’anno, poi alla fine ci si vuole bene. Specialmente il fratello che si sorbisce in anteprima l’ascolto di tutto ciò che scrivo. Comprese queste millemila pagine di seghe mentali.
Auguri anche alla mia pazzoide, quella che a diciassette anni ha deciso che valeva la pena sopportarmi e che dopo sei anni ancora non si è smentita. Scusa Cimbala, la dichiarazione pubblica te la rifaccio quando arrivo al milione di lettori, giuro, ma tanto scommetto che sei arrossita lo stesso.
E auguri agli amici, i pochi rimasti, duri e puri. Quelli che anche se la vita ci sbatte a destra e a manca, e non ci si sente per mesi, poi alla fine ci si ritrova. Che possa essere sempre così.

Se siete arrivati fin qui senza saltare nulla siete degli eroi. Tra poco dovrebbe arrivare la squadra della Protezione Civile che ho chiamato per voi, vi consegneranno acqua, cibo, coperte e altri generi di conforto. Auguri a tutti per un felice anno nuovo.

Nathan

@ immagini tratte da Google immagini

6 comments

  1. Rieccomi! Daredevil è il mio supereroe preferito fin da quando ero bambino, quindi puoi immaginare con quanto piacere abbia letto il tuo post. Di questo straordinario personaggio ti consiglio di leggere anche un’altra ristampa, il vol. 10 della Daredevil Collection (“Il secondo segreto”): racchiude alcune delle più belle storie a fumetti che io abbia mai letto.
    Riguardo alle serie tv, questo è stato un anno anomalo per me: di norma arrivo a Dicembre senza averne guardata una, quest’anno invece ne ho guardate addirittura 3 (Daredevil, Westworld e Shades of Blue). Ne è stravalsa la pena in tutti e 3 i casi, anche se (come hai detto tu) la prima è peggiorata davvero troppo nella seconda stagione.
    Per i film invece è stato un anno senza infamia e senza lode: non ho visto nessun capolavoro, ma rispetto ad altri anni ho anche visto molte meno schifezze. Anzi, di schifezze ne ho viste soltanto 3, peraltro tutte più vecchie del 2016 (The Homesman, Un colpo all’italiana e Il professor Cenerentolo).
    Dato che tengo un elenco dei film visti quest’anno nella posta elettronica, te lo copio&incollo:

    Creed – Nato per combattere
    La grande scommessa
    L’amore non va in vacanza
    1981: Indagine a New York
    Quo vado?
    Deadpool
    The Hateful Eight
    Il caso Spotlight
    Joy
    Blood Out
    Cado dalle nubi
    L’Universale
    McFarland, USA
    Codice 999
    Lo stato contro Fritz Bauer
    My father Jack
    The Homesman
    La pazza gioia
    Colonia
    Assassins Run
    Dawn Rider
    Un colpo all’italiana
    Lo chiamavano Jeeg Robot
    L’odio colpisce due volte
    Tutti vogliono qualcosa
    Missionary Man
    Io ho ucciso!
    Get over it
    Julieta
    Sweetwater – Dolce vendetta
    Third person
    Eurotrip
    La dea del successo
    Suicide Squad
    It follows
    I perfetti innamorati
    Command Performance
    La grande rapina
    Go with me
    Lettere da Berlino
    La mia vita a stelle e strisce
    Tutto può accadere a Broadway
    Sing Street
    Premonitions
    Che bella giornata
    Il rito
    Una folle passione
    Belli di papà
    Manhattan Nocturne
    Conspiracy – La cospirazione
    La legge dei narcos
    Vice
    Il professor Cenerentolo
    Badge of Honor
    Like Crazy
    Skin Trade – Merce umana
    Icarus
    Jane got a gun
    In a valley of violence
    A certain justice
    One in the chamber

    Tra tutti questi, il più bello è di gran lunga Lo stato contro Fritz Bauer. Fa scomparire anche tutti i film che ho visto nel 2015.
    Sui gradini più bassi del podio metto due western moderni visti proprio in chiusura: medaglia d’argento per Jane got a gun, medaglia di bronzo per In a valley of violence. Menzione speciale per Una folle passione.
    Cosa ne pensi del mio elenco (e del mio commento in generale)?

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    1. Una buona idea, quella di tenere una lista. Lo faccio anch’io, con libri, fumetti, film e serie. Ogni anno inizio. Poi puntualmente verso maggio mi perdo e non aggiorno più nulla. Effettivamente è una di quelle cose da ossessivo-compulsivi che emergono dal mio profondo io quando il tempo libero lo consente.
      Daredevil, comunque, è uno dei supereroi che preferisco. Il tipico caso in cui un “potere” non è gratuito, alla Superman, ma una pesante diversità e soprattutto un disturbo. Il ciclo di Miller (saccheggiato dalla serie Netflix in atmosfere e ispirazione) è indubbiamente uno dei meglio riusciti. Ti straconsiglio a questo punto la serie di Occhio di Falco di cui parlo nell’articolo!

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      1. Superman non fa impazzire neanche me. E infatti quando è finito il meraviglioso ciclo di Geoff Johns e John Romita Jr. ho subito smesso di leggerlo. Su alcuni blog fumettistici americani ho letto che con l’operazione Rebirth la serie di Superman è tornata su livelli stellari: magari le darò un’occhiata quando esce in Italia.
        Nel mio commento precedente mi sono scordato di parlare dei libri che ho letto nel 2016. Il migliore che ho letto è senza dubbio “Lascia che accada” di Amber L. Johnson. Un libro delicatissimo su una ragazza che si innamora di un coetaneo con la sindrome di Asperger, e quindi sugli eroici sforzi che lei compie per accettare tutte le pesanti anormalità che derivano dall’avere una relazione con lui. Avrei voluto recensire questo romanzo, ma ogni volta che ci provavo mi rendevo conto di camminare su un campo minato, perché qualsiasi cosa io scrivessi rischiavo di risultare involontariamente offensivo nei confronti delle persone diversamente abili. E quindi ho dolorosamente rinunciato.
        Molto bello anche “Noi due ai confini del mondo” di Morgan Matson, sul quale ho già detto tutto nella mia recensione (https://wwayne.wordpress.com/2016/03/20/un-viaggio-memorabile/).
        Seguirò senz’altro il tuo consiglio per quanto riguarda Occhio di Falco, perché è evidente che abbiamo gli stessi gusti in fatto di fumetti. Per lo stesso motivo, direi proprio che ti strameriti il follow. 🙂 Grazie per la risposta! 🙂

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  2. Purtroppo la disabilità in Italia è ancora un argomento quasi tabù. In generale se ne sa davvero troppo poco, e ciò è molto grave a mio avviso, poiché la mancanza di consapevolezza erige barriere (sia psicologiche, sia architettoniche) talvolta insormontabili.
    Lavorando a stretto contatto con la disabilità (in particolare con i disturbi dello spettro autistico, come l’Asperger), mi rendo spesso conto di questa sorta di paura, dettata ovviamente dalla non conoscenza e dalla mancata esperienza, di noi “normali” nei confronti di queste persone. Paura di offendere, paura che un nostro gesto, azione, parola, possano scatenare una reazione che non possiamo prevedere. È un dato di fatto, questo, che trova spesso riscontro nella mia esperienza. È chiaro che la colpa non è del singolo, ma di una società che non prepara le persone all’inclusione (pur essendo migliore che in passato), tendendo quindi, per naturale deriva, all’emarginazione.
    Il consiglio che mi sento di darti, se un giorno volessi riprendere quella recensione, è innanzitutto di documentarti un po’, almeno a livello basilare – teorico (quanto basta per dare al lettore un paio di coordinate), su ciò che vuoi affrontare, e poi di affrontarlo con buon senso, che è sempre la parola chiave. Per fare un esempio banale, ti assicuro che sono pochi a risentirsi per essere chiamati “disabili”, piuttosto che “diversamente abili”. Si incazzano quasi tutti, invece, se all’apertura delle porte del treno non si attiva la passerella, rendendo loro impossibile l’accesso indipendente al mezzo con la sedia a ruote. 🙂

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    1. Io ti parlo di un romanzo sull’Asperger, e scopro che questa disabilità è il tuo pane quotidiano: coincidenze come queste mi lasciano davvero a bocca aperta.
      Ieri me ne è capitata una ancora più clamorosa: per il primo dell’anno ho guardato Café Society, e ad un certo punto cosa mi sono trovato davanti? Una scena in cui il protagonista festeggia il Capodanno nel suo locale… e poi uno non deve credere all’esistenza di un destino e di Dio che tutto ordina. Grazie mille per i preziosi consigli, e a presto! 🙂

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